2 mag 2020

Filosofia e simbolismo - Step 12

La civetta di Minerva è la civetta che accompagna Minerva nei miti dell'antica Roma e, da Omero in poi, Atena glaucopide nei miti dell'antica Grecia. È il simbolo della filosofia e della saggezza. Gli occhi e il becco seguono la linea della lettera φ (fi), simbolo alfabetico greco della filosofia e in seguito della sezione aurea. Lettera che quindi accomuna armonia, bellezza e amore per la conoscenza e per la ricerca. Secondo Hegel, «la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta. La nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo». Con ciò il filosofo tedesco intende dire che la filosofia giunge a comprendere una condizione storica solo dopo che questa è già trascorsa, attuando il senno del poi senza poter offrire capacità precognitive.
Spesso molti filosofi utilizzano simboli, frasi o diversi termini che se analizzati bene hanno un significato ben più profondo di quello apparente. Un chiaro esempio possono essere gli pseudonimi di Kierkegaard.
Lo pseudonimo era stato un espediente della letteratura romantica sotto cui si nascondeva la vera identità dell'autore che, per vari motivi, voleva rimanere nascosto al pubblico dei lettori. In Kierkegaard lo pseudonimo, assume tutt'altro valore e significato. Come dice lo stesso Kierkegaard lo scopo è quello di mettere in scena una sorta di "teatro delle maschere" di cui è il burattinaio lo stesso filosofo. Ogni opera ha indicato come autore un nome originale e significativo che vuole alludere allo stesso contenuto dell'opera, come ad esempio: l'autore della Postilla conclusiva non scientifica, indicato come "Climacus", mentre l'autore de La malattia mortale è "Anti-Climacus". Qui i due pseudonimi vogliono rimandare evidentemente a contenuti dove si dibattono tesi contrastanti. Lo scopo è quello di rendere le opere stesse veri e propri "personaggi" che dialogano tra loro, magari sostenendo argomenti contrapposti. Ogni nome è quindi una chiave d'interpretazione dell'opera, è una maschera di Kierkegaard che fa dialogare i suoi finti autori da un'opera all'altra. Questa è quindi una comunicazione indiretta, una comunicazione d'esistenza, dove la verità viene offerta al lettore che la dovrà scegliere tra le varie opere impegnando nella scelta se stesso e la sua esistenza.
Ma lo scopo degli pseudonimi è anche quello di riprodurre la caratteristica "ironia" socratica. Come Socrate che "sapeva di non sapere" prima ancora che si iniziasse un dialogo con il suo interlocutore, ma fingeva di "non sapere", presentandosi come ignorante, per non mettere a disagio chi dialogava con lui, ma soprattutto perché voleva che anch'egli arrivasse liberamente alla sua professione di ignoranza, così Kierkegaard vuole non far apparire i suoi convincimenti e non identificarsi con quelli delle "maschere". In questo modo ogni pseudonimo può rappresentare liberamente una "possibilità d'esistenza" . Tutte queste possibilità esistenziali sono vissute da Kierkegaard come presenti in lui, ma egli non aderisce pienamente a nessuna di esse.

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